Al naturale

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Al naturale è un termine utilizzato in araldica per indicare una figura nel suo colore nella vita reale e non di smalto.

Qualifica le figure rappresentate col loro colore proprio. Per gli esseri umani il colore naturale è il carnagione, ma viene chiamato al naturale in blasonatura. e per il cielo nell'araldica italiana (specialmente quella civica) viene indicato come campo di cielo. Per alcune figure, poi, il colore al naturale è rappresentato in modo convenzionale:

  • il cervo è smaltato di rosso; tuttavia questa particolarità è duramente contestata dal Volpicella, secondo cui «siccome il fine principale del linguaggio araldico è proprio quello di essere sobrio e chiaro, e soprattutto di evitare confusioni, conviene lasciare le vecchie bizzarrie dell'araldica agli araldisti bizzarri, e saggiamente chiamar rosso il cervo rosso»[1];
  • la testa di moro, come dice il nome, di nero.
  • l'albero ha il tronco marrone e il fogliame di verde.

Il colore al naturale può essere posto indifferentemente sopra un metallo o sopra un colore, senza violare la regola di contrasto dei colori. Nei disegni in bianco e nero il colore al naturale si rappresenta lasciando la figura in bianco ed ombreggiandola ove opportuno. Taluni araldisti hanno proposto di rappresentare il colore al naturale con piccoli segni a forma di "c" che simulano piccole squame. Tale convenzione sarebbe utile per distinguere una figura al naturale da una d'argento.

L'espressione al naturale descrive l'armellino quando si vuole indicare l'animale e non la pelliccia. Allo stesso modo monte al naturale descrive il monte disegnato con pareti scoscese invece che nel modo convenzionale rappresentato da rettangoli verticali sormontati da semicerchi.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Luigi Volpicella, Dizionario del linguaggio araldico italiano, Udine, Gaspari, 2008 [concluso negli anni 1940], p. 91. La definizione di "bizzarria" è tratta da Goffredo di Crollalanza, voce Al naturale, in Enciclopedia araldico-cavalleresca: prontuario nobiliare, Pisa, 1876-1877, p. 28.

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