File:Palazzo Penne - Napoli.jpg

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Italiano: Rarissimo esempio di architettura civile del XV secolo a Napoli, il palazzo Penne venne costruito nel 1406, come ricordato dall'epigrafe posta sul portale, per volere del nobile Antonio Penne, gran siniscalco del re Ladislao di Durazzo. L'edificio, per il cui progetto è stato avanzato il nome di Antonio Baboccio da Piperno, fonde elementi catalani (come l'arco ribassato) con stilemi toscani, evidenti nell'uso del bugnato.

La facciata principale è appunto ricoperta da bugne decorate alternativamente con gli stemmi della famiglia proprietaria del palazzo (con il simbolo araldico della piuma) e quelli della corte (i gigli angioini). L'edificio è coronato da un cornicione, sostenuto da archetti acuti, anch'esso a bugne, che reca incise le corone e le armi dei Durazzo. Al di sopra del portale ligneo, ad arco ribassato, tipico del periodo durazzesco, ancora quello originario, scorre un festone con incisi due versi del poeta latino Marziale. Superato il portone si accede ad un cortile interno, arricchito da un bel portico a cinque arcate con un grazioso giardino ancora oggi in parte conservato. Nel cortile in origine si affacciavano sedici scuderie per circa quaranta cavalli e sei carrozze, mentre il maestoso portico era adornato da statue di epoca romana. Nell'appartamento al primo piano vi erano due saloni di cui uno affacciava sul porticato e l'altro su un cortile che immetteva nel parco. Una scala di piperno portava al secondo piano dove vi era una gran terrazza con la balaustra sempre di piperno. Scendendo lungo il lato occidentale, nell'oscuro Pendino di Santa Barbara, alzando lo sguardo, si possono ancora ammirare due belle finestre a croce guelfa: sono quelle del secondo appartamento. Non possiamo individuare con certezza il lodevole architetto di questa costruzione. Forse Masuccio (secondo il De Dominici), forse Baboccio da Piperno (secondo il Celano). Questa seconda ipotesi sembra più attendibile, perchè Masuccio sarebbe morto qualche anno prima. Nel 1683 la casa fu acquistata dall'Ordine dei Padri Somaschi e ad essi restò fino alla soppressione degli Ordini religiosi, nel decennio di dominazione francese del primo Ottocento. Il palazzo passò allora in proprietà dell'abate Teodoro Monticelli, illustre vulcanologo, che vi sistemò le sue preziose collezioni di minerali e una ricca biblioteca, purtroppo da tempo trasferita altrove. Il Monticelli, appartenente all'Ordine dei frati Celestini (quelli di san Pietro a Majella), fu insegnante di Storia Ecclesiastica e di Etica all'Università ma a causa delle sue idee liberali nel 1794, fu condannato a scontare dieci anni di carcere nell'isola di Favignana. Fu liberato solo grazie all'intervento del Papa Pio VII e, divenuto abate, potè rientrare a Napoli durante il regno di Gioacchino Murat. Qui però preferì lasciare l'insegnamento per dedicarsi agli studi scientifici, in particolare di geologia vesuviana. Spesso l'abate si recava per i suoi studi a Pozzuoli, Cuma, Ercolano o Pompei e, quando possibile, non disdegnava di occuparsi del commercio di pietre pregiate, il che lo rese molto ricco, assicurandogli un'agiata vecchiaia. Spesso la sua casa, ove aveva costituito, come abbiamo detto, un vero museo di mineralogia e una ricca biblioteca era frequentata da illustri studiosi dell'epoca. L'abate morì dunque, in agiate condizioni, nel 1845 e il museo e la biblioteca furono donati allora, secondo i suoi desideri, all'Università mentre il palazzo finì ai suoi pronipoti.

Fonte http://www.dipartimentodiculturadelprogetto.it/
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Source Own work
Author Sergioizzo

Piazzetta Teodoro Monticelli / Napoli

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